Albo Unico dei consulenti finanziari, dopo un’attesa durata 11 anni anche i consulenti finanziari indipendenti accederanno all’Albo.
Patrimonia & Consulenza, rivista specializzata nella consulenza patrimoniale, mi ha intervistato relativamente all’Albo Unico dei consulenti finanziari.
Perché ha scelto la consulenza finanziaria indipendente e come vede l’evoluzione di questo mercato da nicchia a qualcosa di più nei prossimi anni?
Ho lavorato 17 anni in Banca prima di scegliere di essere indipendente. Per me la consulenza, o meglio la finanza in generale, è più una passione che un lavoro. Quando l’ho capito, ho cercato la formula per fare di una passione un lavoro. Sono uscito dalla banca a luglio del 2007, quindi ad oggi ho 11 anni di consulenza finanziaria indipendente alle spalle. Di cose ne sono successe nel frattempo: ad esempio 11 anni fa non si sarebbe potuto concepire il fallimento di una banca.
Come private, con clienti da 500.000 euro in su, non posso dire che in banca la mia attività fosse soggetta a diktat. Ma percepivo che la mia era una consulenza di facciata, in realtà sentivo il dovere, anche se non esplicitato, di vendere prodotti con maggiore marginalità per la banca. Ho cambiato carriera per fare un cambiamento di vita radicale, per consigliare al cliente ciò che avrei scelto per me stesso.
Viene da chiedersi perché i clienti non facciano lo stesso ragionamento…
Circa 6 o 7 anni fa quando ho cominciato la mia collaborazione con Il Sole 24 Ore, mi dissero di scrivere in modo semplice;
[su_quote]”anche se siamo il Sole 24 Ore, la gente sa poco e niente di finanza”.[/su_quote]
Più la gente ignora, meno è consapevole e più è facile fargli fare quello che conviene al sistema. Cito spesso una frase di Robert Kiyosaki, uomo d’affari americano, speaker motivazionale e scrittore di best seller finanziari:
[su_quote]”il motivo principale per cui la gente ha problemi finanziari è perché ha trascorso anni a scuola senza imparare nulla sul denaro… e non impara mai a far lavorare i soldi per sé“.[/su_quote]
La scuola in Italia ci insegna a leggere, a scrivere, a far di conto, ma nessuno ci insegna a gestire meglio le nostre finanze. Le note vicende legate a Banca Popolare dell’Etruria, alla Banca Popolare di Vicenza, a Veneto Banca, a Carife, ma anche a Monte dei Paschi di Siena, dimostrano che le banche non fanno gli interessi di investitori e risparmiatori.
Il consulente finanziario di rete – come lei li chiama ma per me restano promotori finanziari – è un agente di vendita mono-mandatario di una banca, di una Sim o di una Sgr, per la quale deve vendere prodotti finanziari e dalla quale è pagato con provvigioni sul fatturato.
Più le commissioni di un fondo o di una polizza sono alte e più guadagna.
L’impiegato di una banca o il private banker fanno un lavoro simile a quello del promotore, pardon del consulente di rete, ma vengono pagati in modo diverso. Sono sostanzialmente dei venditori per conto della banca. Essendo dipendenti hanno uno stipendio fisso che non aumenta o diminuisce in base ai prodotti finanziari effettivamente venduti (salvo qualche premio periodico). Hanno però il problema del budget e quindi devono collocare i prodotti su cui le banche guadagnano di più in termini di commissioni.
Il Consulente finanziario indipendente, invece, è un libero professionista e mette sempre al centro l’interesse del cliente, perché questa è la vera fonte del suo guadagno.
Lavora sulla base di un contratto annuale di consulenza e ha tutto l’interesse ad erogare un servizio di qualità. Mentre non ne ha alcuno a consigliare prodotti di bassa qualità, poiché non ha retrocessioni da banche, Sgr o società prodotto. La parcella annuale pagata dal cliente viene predeterminata ed è calcolata sul patrimonio oggetto di consulenza.
Prevede anche lei pesanti uscite dalle reti e una forte adesione alla professione autonoma?
Non sono convinto! Per l’iscrizione all’Albo Unico dei consulenti finanziari viene richiesta ai consulenti finanziari indipendenti (autonomi) una serie di adempimenti e controlli che, oltre a non avere senso dal momento che noi non tocchiamo i soldi dei clienti, limitano e condizionano lo svolgimento dell’attività.
Quando ho visto tutto ciò che viene richiesto per l’iscrizione all’Albo mi è venuto mal di testa. Inoltre, a parità, di masse gestite, gli indipendenti guadagnano molto meno. Quindi occorre fare molta attenzione: la libera professione non è per tutti e in futuro rischia di costare molto.
Sarà quasi impossibile svolgerla singolarmente; é importante che si creino studi associati o comunque strutture più allargate. Inoltre, ritengo che questa professione sia destinata a crescere di pari passo con l’aumento dell‘educazione finanziaria e la consapevolezza degli investitori. Mentre all’estero, soprattutto nei paesi anglosassoni, la nostra figura è già riconosciuta da tanti anni, in Italia la lobby bancaria e assicurativa ha fatto di tutto per ostacolare lo sviluppo di questa professione e la nascita dell’Albo che doveva avvenire già a fine 2007.
Come vede questa nuova sezione dell’Albo generale?
Cosa c’entriamo noi indipendenti con i consulenti di rete? Perché dobbiamo condividere lo stesso Albo se sono due professioni così diverse? Autonomi poi… Prima hanno deciso quando doveva nascere l’Albo e ci sono voluti più di 10 anni, poi hanno deciso anche come dobbiamo chiamarci.
Quando le banche l’hanno ritenuto opportuno, perché erano pronte e perché prevedevano una serie di esuberi dopo Mifid 2, si è decisp di far nascere l’Albo, però chiamandoci autonomi. Mi dice come farà il cliente a capire la differenza tra una figura e l’altra quando saremo raggruppati in un unico “calderone”? Saremo assimilati pur essendo molto diversi, generando ulteriore confusione negli investitori e nei risparmiatori.
Come gestisce lei tutta la parte di analisi e di studio?
Ho alcuni fornitori a cui mi affido per analisi, reportistica, studi vari. Cerco di selezionare il servizio di analisi degli strumenti tra i migliori fornitori sulla piazza. Io sono consulente, non sono un gestore; è come se un giocatore di calcio volesse fare il portiere, il centrocampista, il difensore e l’attaccante, tutto insieme: dopo 10 minuti che corri non ce la fai più!
Ognuno deve fare il proprio mestiere in modo da garantire professionalità e competenza. E anche per sgombrare il campo da qualsiasi forma di conflitto di interesse.
Come vede l’evoluzione del mercato?
Credo molto nell’allargamento delle competenze del consulente finanziario a consulente patrimoniale. Mi piace parlare di pianificazione del patrimonio che significa occuparsi innanzitutto della persona e della sua famiglia, prima ancora che del suo denaro.
Il rapporto con la clientela non deve basarsi solo su aspetti tecnici, ma anche relazionali. Il professionista deve entrare in empatia con i propri clienti e affiancarli anche da un punto di vista psicologico. Vedo nel tempo la mia figura più come un coach che un consulente finanziario. E chi più di un consulente fee only, ossia pagato a parcella, a prescindere dal valore e volume degli strumenti consigliati e dalle strategie scelte, potrà garantire una vera consulenza patrimoniale?
Cosa direbbe ai clienti in generale, potendo?
Di imparare a farsi delle domande sui servizi che vengono loro resi e, nel caso specifico, di chiedersi sempre chi paga il consulente che li segue.
Fabrizio Taccuso