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Costi dei fondi comuni di investimento, la beffa per gli investitori

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i costi dei fondi comuni di investimento

I costi dei fondi comuni di investimento italiani sono molto alti e incidono pesantemente sul rendimento finale.

I costi dei fondi comuni sono spesso “occulti” in quanto sconosciuti, almeno nel quanto, da parte di chi li sottoscrive.

Questa settimana citiamo un articolo pubblicato qualche giorno fa sul settimanale “l’Espresso“. Noi di Consulenza Vincente abbiamo parlato spesso del conflitto di interessi che caratterizza il mondo finanziario e dell’asimmetria informativa esistente nel rapporto tra banche o promotori e clienti.

Gli investitori, nella maggior parte dei casi, tendono a fidarsi e preferire un marchio famoso e conosciuto.

Sappiamo però perfettamente che spendere milioni di euro in pubblicità non è garanzia di efficienza o bontà di prodotti!!! In Italia abbiamo illustri esempi…

Ecco cosa ci racconta l’Espresso: “I tecnici del settore le chiamano “performance fee”. O anche commissioni d’incentivo, per dirla in italiano. Tradotto in parole povere significa una tassa supplementare sul risparmio. Questa volta però i soldi non vanno allo Stato. È un balzello privato, che arricchisce banche e società di gestione dei fondi comuni d’investimento. Ecco qualche numero: solo nei primi tre mesi di quest’anno, gli italiani hanno pagato oltre 400 milioni a titolo di performance fee. Questa è la somma complessiva incassata da Anima, Azimut, Banca Generali e Mediolanum, i quattro marchi del risparmio gestito quotati in Borsa.

In altri mercati, per esempio negli Stati Uniti, questi premi extra di fatto non esistono. In Italia invece le commissioni di incentivo, legate all’andamento del fondo, vanno ad aggiungersi a quelle ordinarie. E, a ben guardare, si scopre che in molti casi il compenso supplementare non è proporzionale al rendimento. Peggio ancora: a volte i sottoscrittori sono costretti a pagare anche se i risultati sono stati negativi.

Risultato: un fiume di denaro finisce nelle casse delle società di gestione del risparmio.

Ecco spiegato, allora, perché Azimut ha appena festeggiato il “miglior trimestre nella storia del gruppo”. Nel comunicato che accompagna i conti chiusi al 31 marzo scorso si legge di un utile di 128 milioni, più del triplo rispetto all’anno prima. Corre anche Banca Generali: 98 milioni di profitti in tre mesi, contro i 39 milioni fatti segnare nella prima trimestrale del 2014.

I costi dei fondi comuni di investimento
I costi dei fondi comuni di investimento

Dai bilanci, però, emerge anche un’altra verità: a mettere il turbo ai risultati sono proprio le commissioni d’incentivo.

Come dimostra la figura pubblicata, senza questi incassi straordinari, le società di gestione vedrebbero sfumare buona parte dell’utile. Nel caso di Mediolanum, per esempio, le performance fee valgono 132 milioni dei 137 milioni di profitti trimestrali. Azimut ha incassato in tre mesi quasi 100 milioni di premi di rendimento, che valgono buona parte dei 128 milioni di utile. Non è da meno Banca Generali che alla voce “commissioni d’incentivo” indica 72 milioni nel trimestre gennaio-marzo, che si è chiuso con un risultato di 93 milioni circa. Se poi i mercati finanziari viaggiano al rialzo, come è successo nei primi tre mesi di quest’anno, anche i compensi dei gestori si moltiplicano di conseguenza.

Il boom però non si spiega soltanto con la crescita degli indici di Borsa. Gli analisti segnalano che il meccanismo di calcolo delle commissioni sembra studiato apposta per aumentare i costi a carico dei risparmiatori. Che cosa succede? Semplice: gli oneri supplementari per gli investitori vengono calcolati sulla base dell’andamento mensile o trimestrale. Funzionano così, per esempio, numerosi fondi della scuderia Azimut, che applicano commissioni ogni trenta giorni. I prodotti di Banca Generali, invece, prevedono in molti casi prelievi trimestrali. Un sistema come questo finisce per penalizzare gli investitori.

Dietro il calcolo c’è il trucco.

Per capire meglio, facciamo un esempio concreto. Se un fondo ha perso il 10 per cento in un mese, per poi recuperare il 5 per cento in quello successivo, il sottoscrittore si troverà a pagare un premio al gestore anche se il fondo è ancora in rosso del 5 per cento. In pratica, le performance fee vengono addebitate anche se l’investitore non ha ancora finito di recuperare le perdite dei mesi precedenti.

Questo meccanismo, tra l’altro, finisce per premiare i risultati a breve termine. Eppure i prodotti finanziari, soprattutto quelli legati ai mercati azionari, andrebbero valutati nel lungo periodo, un paio di anni o più. Va segnalato che il sistema funziona a senso unico. Infatti, in caso di rendimenti negativi, non c’è nessuna regola che imponga delle penalità ai gestori. Se così fosse, i risparmiatori potrebbero recuperare almeno in parte i costi elevati a loro carico.

Non è solo una questione di commissioni. Le società di gestione con base all’estero finiscono anche per risparmiare sulle tasse. In Irlanda e in Lussemburgo il fisco ha notoriamente la mano leggera. E così, al riparo di quelle legislazioni no-tax, Azimut, Banca Generali e Mediolanum riescono a ridurre ai minimi termini le imposte da pagare. In altre parole, non solo le commissioni, ma anche i profitti viaggiano offshore.

Se fa meglio un ETF

Insomma, nessun pasto è gratis. Il risparmiatore deve rassegnarsi. I prodotti migliori sono anche i più costosi? I ricercatori di Norisk hanno messo a confronto i risultati di alcuni fondi comuni di investimento con commissioni mensili o trimestrali con le performance realizzate da Etf con caratteristiche simili.

Gli Etf, un acronimo  che sta per “exchange traded fund”, sono prodotti d’investimento che hanno come unico obiettivo quello di replicare l’andamento di un indice. La loro gestione viene per questo definita passiva. Si può dire che viaggiano come auto con il pilota automatico su una strada determinata in partenza. Proprio per questo gli Etf hanno costi di gran lunga ridotti rispetto ai normali fondi.

A sorpresa, però, si scopre che qualche gestore è riuscito a far peggio dei suoi concorrenti low cost.

E’ il caso della Sicav “Euro debt” di Banca Generali battuta dall’Etf “iShares Euro government bond”. Ambedue investono in titoli di Stato dell’area Euro, ma il secondo applica commissioni di gran lunga inferiori al primo. Un discorso simile vale anche per il fondo della scuderia Mediolanum specializzato in azioni del settore salute (Challenge Counter Cyclical). Quest’ultimo, nell’arco degli ultimi cinque anni, è stato superato da un Etf (Db x-trackers world health care) che punta sugli indici del comparto salute. E anche un fondo Azimut specializzato in titoli legati alle materie prime ha fatto segnare risultati inferiori a un prodotto a basso costo (Lyxor commodity) che investe nello stesso settore.

In casi come questi, quindi, i risparmiatori hanno pagato fior di commissioni per ottenere in cambio risultati mediocri. E nessuno li rimborserà mai di quei costi. A guadagnarci è solo il gestore. Che fa il pieno di utili e paga pochi spiccioli di tasse, via Dublino e Lussemburgo.

Se vuoi sapere i costi dei fondi comuni di investimento che ti ha venduto la banca o il promotore di fiducia, contattami

Fabrizio Taccuso

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3 Responses

  1. ma io ho un consulente che mi ha fatto investire in fondi obbligazionaritipo carrmignaxe altri che stanno perdendo,cosa ne’ pensate?

    1. Lorenzo, noi ci siamo già sentiti qualche anno fa. E’ importante valutare il tutto in un contesto generale. Giornate come le ultime sono importanti per valutare un servizio efficiente e di qualità. I nostri clienti erano tutti liquidi e non hanno avuto contraccolpi.

  2. ! E ‘difficile non essere d’accordo con te su molte questioni,
    mi auguro che posso essere un po’ più propenso perchè si legge bene

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