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La crisi della Lira turca minaccia i mercati finanziari e non solo…

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La crisi della Lira Turca - Santa Sofia

La crisi della Lira turca spaventa i mercati internazionali. Dopo il forte ribasso di venerdì, la divisa turca ha iniziato la settimana con un nuovo crollo.

Ad inizio giornata ha segnato un cambio vicino a 8 contro Euro. Si teme un possibile effetto contagio nell’Eurozona, proprio nel periodo in cui i listini sono più vulnerabili a causa della ridotta operatività degli investitori istituzionali. Il crollo della Lira turca non è arrivato proprio all’improvviso. Rappresenta uno dei peggiori cali dell’ultimo decennio fra i paesi del G20, con tutti i problemi che ne derivano quando una moneta si deprezza, in quanto rende le importazioni più costose.

La crisi della Lira Turca - grafico a due anni
La crisi della Lira Turca – grafico a due anni

Come puoi notare dal grafico, già da inizio anno la Lira aveva perso tra il 30 e il 40% del suo valore rispetto al dollaro. La svolta nazionalista di Erdogan ha isolato il Paese, la cui economia dipende tuttavia fortemente dall’afflusso di capitali esteri e dalle esportazioni. La Turchia è membro della Nato, ma i rapporti con gli Stati Uniti sono via via peggiorati per diversi motivi. Gli Usa parteggiano per i curdi, mentre la Turchia è vicina all’Iran e alla Russia, da cui si rifornisce di petrolio, pagato in dollari americani, e gas. Con Iran e Russia la Turchia è allineata nella vicenda siriana.

La già fragile situazione è peggiorata dopo l’ennesimo attacco di Donald Trump via Twitter. La minaccia di aumentare i dazi sull’alluminio e raddoppiare quelli sull’acciaio rappresenta una sorta di rappresaglia contro l’arresto del predicatore evangelico Andrew Brunson, presunta spia secondo Ankara.

La crisi della Lira Turca - Il Tweet di Trump
La crisi della Lira Turca – Il Tweet di Trump

 

Negli ultimi anni la Turchia è stata una delle economie in più rapida crescita al mondo, superando lo scorso anno persino giganti come Cina e India.

Nel secondo trimestre del 2018, il Paese ha registrato una crescita del 7,22% del suo prodotto interno lordo. Questa espansione, tuttavia, è stata alimentata dal forte debito in valuta estera. In un momento in cui le banche centrali di tutto il mondo stavano pompando denaro per stimolare le loro economie dopo la crisi finanziaria globale, le banche e le società turche hanno accumulato debiti in valuta straniera, quindi in gran parte euro e dollaro.

Tale indebitamento, che ha alimentato consumi e spese, ha comportato un deficit della Turchia sia nei conti fiscali che in quelli correnti. Il primo si verifica quando la spesa pubblica supera le entrate, mentre il secondo significa che un paese acquista più beni e servizi di quanti ne venda. Il debito in valuta estera del paese si attesta ora oltre il 50% del suo PIL, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale.

La Turchia non è l’unica economia con deficit “gemelli” e un’elevata quantità di debito in valuta estera. A differenza di altri Paesi, però, non dispone di riserve sufficienti per intervenire e salvare l’economia quando le cose vanno male. Infatti le riserve della Turchia sono notevolmente più basse rispetto ai 181 miliardi di dollari di debito a breve termine.

Le tensioni dei mercati nei confronti della Turchia sono dovuti in gran parte alla leadership accentratrice di Erdogan.

Il presidente turco ha impresso un forte controllo personale sull’economia turca, nominando personalmente il governatore della banca centrale e avendo piazzato il genero Berat Albayrak al ministero dell’Economia. Come sappiamo l’accentramento di potere, anche in campo economico, è spesso fonte di preoccupazione per gli investitori.

L’economia turca si è “surriscaldata” con l’inflazione (arrivata al 16% a luglio) che supera l’obiettivo della banca centrale del 5 percento. Ciò significa che rispetto allo scorso anno nello stesso periodo considerato i beni di consumo costano il 15 per cento in più. Beni come benzina, medicine e cibo.

La crisi della Lira turca sta creando molta apprensione per la capacità delle banche turche e delle società di poter riuscire a finanziare più 350 miliardi di debito estero. Il tasso del titolo decennale del tesoro è arrivato ad un picco del 18 per cento. Solo a titolo di confronto in Italia il Btp è attorno al 3%, mentre il Bund tedesco è addirittura a 0,3%.

Che cosa potrebbe risolvere l’attuale crisi della lira turca?

Gli investitori devono vedere misure economiche serie e concrete per evitare che la situazione vada fuori controllo. Significa sostanzialmente:

  • un aumento dei tassi di interesse;
  • imposizione di controlli sui capitali;
  • riforme fiscali;
  • fine della lotta diplomatica con Donald Trump;
  • eventuale pacchetto di salvataggio da parte del FMI

Finchè tali misure non verranno prese, gli investitori continueranno a vendere le attività turche.

Fra i grandi creditori della Turchia, sono presenti diverse banche europee. Gli istituti di credito della Spagna sono esposti per 71 miliardi, quelli francesi per 33 miliardi, quelli britannici con 16,5, e quelli tedeschi con quasi 15 miliardi. Unicredit tra le banche italiane è esposta per circa 15 mld.

Esposizione banche europee in Turchia
Esposizione banche europee in Turchia

Considerando anche le altre banche di Giappone, Stati Uniti, Svizzera e altre, l’esposizione delle banche internazionali verso la Turchia è pari a 264,9 miliardi di dollari.

La crisi finanziaria turca rischia di coinvolgere anche le aziende straniere che operano nell’economia “reale”.

L’Italia è il quinto partner commerciale della Turchia, con un interscambio di circa 20 miliardi di dollari e un aumento degli investimenti del 42,5% nel 2017. tra queste le big italiane sono:

  • UniCredit;
  • Fca hainvestito nello stabilimento di Bursa-Tofas vicino a Istanbul (ma il mercato è in calo);
  • Pirelli ha speso 170 milioni di euro per l’impianto di Izmit dove vengono prodotti ogni anno 2 milioni di pneumatici industriali per l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa;
  • Leonardo produce con Aermacchi l’ala dei caccia F-35;
  • Salini Impregilo (due autostrade, un impianto idroelettrico, l’alta velocità)
  • Astaldi, che ha da poco realizzato il terzo ponte sul Bosforo.

Vi sono inoltre Azimut, Cementir, Recordati, Reno de Medici. Tra le grandi società non quotate Barilla, che ha rilevato negli anni ’90 la pasta Filiz, e Ferrero che ha sette stabilimenti in lavorazione.

La politica dei dazi degli Stati Uniti ed il rafforzamento del dollaro verso tutte le monete sta creando problemi ai Paesi Emergenti.

La crisi della Lira turca ha sollevato timori di ulteriori vittime. Gli operatori temono che le economie in via di sviluppo subiscano forti deflussi di capitali, creando potenzialmente nuove crisi valutarie. Negli ultimi mesi gli investitori sono accorsi negli Stati Uniti, attirati dall’aumento dei rendimenti obbligazionari e da un dollaro più forte grazie al graduale aumento dei tassi della Federal Reserve.

A giugno l’Argentina è stata costretta a chiedere al Fondo Monetario Internazionale un salvataggio da 50 miliardi di dollari; il rand sudafricano è sceso ai minimi da due anni, mentre il rublo russo è al livello più basso dall’inizio del 2016 rispetto al dollaro. La rupia indiana ha toccato il minimo storico.

Attenzione ad investire sui Paesi Emergenti. Suggeriamo a tal proposito la lettura dell’articolo pubblicato nei giorni scorsi.

[su_quote cite=”Carlo Cottarelli” image=””] Crisi come quella turca possono cambiare l’attitudine dei mercati finanziari verso tutti i Paesi considerati a rischio. Si chiama «effetto contagio». E l’Italia è considerato un Paese a rischio, come evidenziato dal secondo spread più elevato nell’area euro, dopo quello greco. [/su_quote]”.

Se poi consideriamo che il bimestre Agosto-Settembre è statisticamente poco favorevole ai mercati…

Fabrizio Taccuso

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