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La guerra commerciale tra Usa e Cina infiamma le Borse

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Guerra commerciale Usa Cina

Guerra commerciale tra le due superpotenze: la Cina risponde a Trump annunciando dazi per 60 miliardi di dollari su prodotti provenienti dagli Usa.

La guerra commerciale implicherà che dal primo di giugno Pechino applicherà dazi fino al 25% su 60 miliardi di dollari di importazioni americane. Saranno colpiti 5.140 prodotti statunitensi, tassati tra il 5% e il 25%. L’elenco dei prodotti comprende piccoli aerei, computers, prodotti tessili, prodotti chimici, carne, grano, vino. Inoltre la Cina potrebbe smettere di acquistare prodotti agricoli dagli Stati Uniti, ridurre gli ordini per gli aerei Boeing e limitare il commercio di servizi.

Guerra commerciale Usa Cina
Guerra commerciale Usa Cina

La mossa segue la decisione di venerdì scorso del presidente Donald Trump di aumentare i dazi dal 10% al 25% su $ 200 miliardi di prodotti cinesi.

In pratica Trump ha ordinato di alzare le tariffe praticamente su tutti i prodotti importati dalla Cina ancora non colpiti da dazi. La Casa Bianca ha accusato la Cina di aver rinnegato punti chiave di un accordo commerciale che avrebbe posto fine ad un conflitto la cui escalation minaccia ora di danneggiare l’economia globale.

Guerra commerciale - Tweet di Trump
Guerra commerciale – Tweet di Trump

Le due maggiori economie del mondo non sono dunque riuscite, almeno per ora, a concludere positivamente i negoziati commerciali che andavano avanti da mesi. La cosa ha colto di sorpresa i mercati e ha fatto spaventare gli investitori. Le Borse mondiali hanno chiuso la seduta di lunedì in forte calo, a cui è seguito un parziale recupero nella giornata di ieri.

Perchè è accaduto tutto ciò?

Gli Stati Uniti sostengono che il surplus commerciale della Cina con gli Stati Uniti sia il risultato di pratiche sleali, incluso il sostegno di stato alle società domestiche. Accusano anche la Cina di aver rubato proprietà intellettuale dalle ditte statunitensi. Sin da quando nel novembre 2016 è diventato Presidente Donald Trump si era lamentato di pratiche commerciali scorrette da parte della Cina. Gli Usa avevano avviato un’indagine nel 2017 e già l’anno scorso hanno imposto dazi per miliardi di dollari sui prodotti cinesi. Pechino si era vendicata, ma, dopo mesi di ostilità, a dicembre entrambi i Paesi avevano concordato una tregua per consentire i negoziati. L’ottimismo era cresciuto tanto da dare praticamente per scontato un accordo. Gli stessi mercati finanziari hanno anticipato con con forti rialzi da inizio anno il buon esito dei negoziati.

A cosa servono i dazi?

I dazi imposti ai beni cinesi, in teoria, rendono i prodotti made in USA più economici di quelli importati e incoraggiano i consumatori ad acquistare prodotti americani. Inoltre sono sempre più visti come una tattica di negoziazione nella guerra commerciale.

La guerra commerciale tra Usa e Cina potrebbe avere conseguenze molto gravi.

Secondo Gregory Daco, responsabile per gli Usa della società di ricerca britannica Oxford Economics, potrebbero verificarsi tre scenari:

  • uno minimo;
  • uno più grave;
  • uno estremo, una sorta di catastrofico ‘Armageddon tariffario‘.

Lo scenario minimo determinerebbe un calo del Pil Usa dello 0,3% nel 2020 e una discesa dello 0,8% del Pil cinese. In pratica significherebbe un costo di 29 miliardi di dollari per gli Stati Uniti e di 105 miliardi dollari per l’economia globale. Lo scenario più grave, in cui Washington dovesse decidere di alzare il tiro e tassare del 25% tutte le importazioni cinesi negli Usa. Ciò porterebbe ad una ritorsione della stessa portata da parte di Pechino che determinerebbe una contrazione dello 0,5% del Pil Usa nel 2020. Il Pil reale arriverebbe pericolosamente vicino all’1% e costerebbe agli americani circa 45 miliardi di dollari. Per la Cina il danno sarebbe più grave e il Pil subirebbe una contrazione dell’1,3%, arrivando a un tasso del 5% circa. A livello globale la frenata dell’economia potrebbe arrivare sino allo 0,5%. Infine lo scenario estremo, l’Armageddon tariffario. Consisterebbe in una guerra commerciale globale, che dunque andrebbe al di là dello scontro tra Usa e Cina. Secondo Daco, gli Usa potrebbero  aumentare sino al 35% tutte le importazioni cinesi, sino al 25% le importazioni globali di auto e applicare dazi del 10% su tutti gli altri beni importati dall’Ue, da Taiwan e dal Giappone. Gli altri Paesi applicherebbero ritorsioni equivalenti sui beni importati dagli Usa.

Questo ‘Armageddon’ tariffario porterebbe ad una contrazione del 2,1% del Pil Usa, che finirebbe in recessione già alla fine del 2019.

Per la Cina l’arretramento del Pil sarebbe del 2,5%, mentre l’Europa e il Giappone subirebbero uno stop dell’1,5% delle loro economie. Durissimo anche il contraccolpo sull’attività economica globale, che frenerebbe dell’1,7%. Secondo Daco la fiducia dei mercati verrebbe scossa in modo molto grave e il contraccolpo sui mercati azionari e del debito costringerebbe le principali banche centrali a prendere misure di stimolo di vasta portata e a ridurre significativamente i tassi di interesse.

Le due maggiori economie del mondo non sono dunque riuscite, almeno per ora, a concludere positivamente i negoziati commerciali che andavano avanti da mesi. Nonostante non sia riuscito a raggiungere un accordo la scorsa settimana, il presidente Trump ha detto lunedì che gli Stati Uniti hanno “un ottimo rapporto” con la Cina. Ha affermato che le due parti parleranno al prossimo vertice del G20 che si terrà in Giappone dal 28 al 29 giugno.

[su_quote cite=”Donald Trump” image=””] Forse succederà qualcosa. Ci incontreremo, come sapete, al G20 in Giappone e penso che sarà probabilmente un incontro molto fruttuoso”. [/su_quote]

Cosa ci possiamo attendere dai mercati finanziari?

L’andamento dei mercati dipenderà sostanzialmente da come si evolveranno i tre scenari di cui sopra.  Nel caso di una “breve impasse”, (se si ritorna al tavolo delle trattative in poco tempo), i mercati potrebbero essere volatili nel breve, ma non troppo penalizzati. Eventuali discese momentanee verrebbero recuperate con una tenuta complessiva delle asset class rischiose, in particolare le azioni.

Nel caso di una pausa prolungata delle trattative, con ulteriori misure di rappresaglia da parte della Cina e applicazione immediata di ulteriori dazi da parte degli Stati Uniti, i mercati sconterebbero almeno al 50% l’ipotesi di un NO deal. Ciò comporterebbe vendite su tutte le asset class rischiose. Quindi sarebbero penalizzati i titoli del settore tech, semiconduttori, auto, componenti auto, lusso, materiali di base. Allo stesso modo ne risentirebbero anche molte currencies dei paesi emergenti. Al contrario ne beneficerebbero i beni rifugio come Oro, Bund, Treasury, yen e franco svizzero.

L’ultimo scenario, il peggiore, consisterebbe nel venir meno a qualsiasi ipotesi di accordo. In tal caso potremmo assistere ad un vero e proprio sell off con gli indici di borsa in ribasso anche del 20% dai livelli attuali. Gli operatori venderebbero con maggiore forza i bond dei paesi emergenti denominati in divisa locale, aumentando la volatilità dell’azionario ed enfatizzando il processo di riduzione del rischio dei portafogli in atto già da qualche giorno.

Le evoluzioni dei mercati, almeno nel breve termine, non sono così scontate. Considerando i rialzi di inizio anno, laddove possibile, meglio ridurre il rischio di portafoglio e ribilanciare i portafogli. Consigliamo al riguardo la lettura del nostro recente articolo relativo alla diversificazione di portafoglio.

deficit commercial usa cina
Guerra commerciale – Deficit commerciale Usa vs Cina

Un accordo per salvare la faccia

Personalmente sono convinto che che si arriverà ad un accordo per salvare la faccia di entrambi. Trump è un maestro della negoziazione e ha sicuramente l’obiettivo di ottenere una vittoria da sbandierare sul fronte domestico, piuttosto che far cambiare veramente l’atteggiamento della Cina. Magari riducendo il deficit commerciale oggi esistente tra Cina ed Usa (vedi tabella sopra).

Fabrizio Taccuso

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