La politica monetaria da parte delle banche centrali (della Fed in particolare) è cambiata e rappresenta la principale novità del 2022.
Le ultime settimane sono state caratterizzate da un mercato azionario certamente più fragile e volatile rispetto allo scorso anno che aveva visto rialzi praticamente ininterrotti e senza correzioni significative.
La politica monetaria della Federal Reserve
In corrispondenza della pandemia, con l’intento di contrastare la contrazione economica che si accompagnava alla crisi sanitaria, la Federal Reserve si era imbarcata in una politica monetaria di riduzione dei tassi e di massicci acquisti di titoli di stato e di MBS sul mercato.
Mentre la leva tassi d’interesse rientra nel tradizionale armamentario delle banche centrali, l’acquisto di titoli (quantitative easing) rientra nelle politiche cosiddette non convenzionali.
Le banche centrali vi hanno fatto ampio ricorso dopo la crisi del 2008.
Gli acquisti di titoli hanno l’effetto di sostenerne le quotazioni e di spingere gli investitori verso la parte a lunga della curva dei titoli di stato e sugli asset più rischiosi.
Nelle ultime riunioni della Federal Reserve, però, a fronte di un’inflazione che non accenna a placarsi, si è discusso anche del fatto che la banca centrale, oltre ad alzare i tassi, potrebbe anche ridurre l’ammontare di titoli che detiene in portafoglio.
Non lo farebbe vendendo i titoli che ha perché questo causerebbe pressioni sui prezzi, bensì non sostituendo i titoli che mano a mano arrivano a scadenza.
La riduzione dei titoli in bilancio, detta quantitative tightening, non piace granché ai mercati perché potrebbe avere l’effetto opposto al quantitative easing e cioè potrebbe mettere sotto pressione i titoli più rischiosi.
BCE e politica monetaria
Dal canto suo, anche la BCE ha assunto toni meno accomodanti, cosa che non si ricordava da molti anni.
Christine Lagarde ha dovuto ammettere che l’inflazione ora preoccupa unanimemente i membri del board della BCE e non ha più garantito che i tassi rimarranno invariati per tutto il 2022.
Tutte le decisioni sono state rimandate a marzo per prendere un po’ di tempo, ma è chiaro che vi è il riconoscimento che la situazione è cambiata rispetto ad alcuni mesi fa.
Politica monetaria e contingenze politiche
La svolta di politica monetaria delle Banche Centrali è dettata anche da motivazioni di ordine politico.
Non si può infatti continuare a negare l’esistenza di un’inflazione che erode i salari reali e il potere d’acquisto dei cittadini. Bisogna quindi agire, o almeno far vedere che ci si preoccupa di farlo. La nuova retorica delle Banche Centrali ha senz’altro un primo fine intanto: contenere le aspettative di inflazione di lungo periodo.
Le aspettative sull’inflazione futura incidono molto sull’inflazione che effettivamente si realizzerà.
Sono una sorta di profezia che si autoavvera. Questo perché tutti gli operatori economici in qualche modo adattano i loro comportamenti alle attese. Se le imprese si aspettano un’inflazione del 2%, probabilmente alzeranno i prezzi del 2% e saranno disposte a concedere aumenti salariali del 2%.
Baseranno inoltre le proprie decisioni di investimento su queste attese. I consumatori faranno le loro scelte di consumo e risparmio sulla base di queste aspettative.
Politica monetaria e rallentamento dell’inflazione
Le banche centrali che alzano i tassi inducono l’anticipazione che questo possa in qualche modo mettere un freno alla crescita economica e rallentare l’inflazione in futuro.
In questo modo si contengono le aspettative e probabilmente si argina l’inflazione che si realizzerà. Senz’altro dunque le banche centrali stanno agendo per contenere le aspettative. Riguardo a quanto sarà invece la loro effettiva capacità di alzare i tassi e ridurre i bilanci il discorso si fa più complesso.
In passato le banche centrali avrebbero agito molto prima a fronte di una ripresa inflattiva come quella attuale. Questa volta si è deciso di aspettare perché l’inflazione veniva considerata transitoria. Del resto, rialzi dei tassi avrebbero avuto ben poco effetto contro un’inflazione principalmente da costi.
Ora si è deciso di agire, o almeno si è detto di voler agire, ma, partendo in ritardo, si rischia di alzare i tassi proprio mentre l’economia rallenta.
La politica monetario in questo momento
La gestione della politica monetaria, in questo momento, richiede quindi una buona dose di equilibrismo.
Da una parte vi è la neanche troppo celata aspirazione a non nuocere troppo ai mercati. È così almeno dalla grande crisi del 2008. Dall’altra parte si vogliono però contenere le aspettative di inflazione e lo si fa annunciando l’intenzione di diventare molto meno accomodanti in tema di politica monetaria.
Poi bisogna vedere quanto si potrà effettivamente agire. Se l’inflazione è un problema dal punto di vista del consenso politico, spingere l’economia in recessione con restrizioni troppo drastiche sarebbe un problema altrettanto increscioso.
Probabilmente, in questo momento, la strategia inconfessata delle banche centrali è quella di agire in modo deciso sulle aspettative. Prendere un po’ di tempo sperando intanto che si risolvano parte dei problemi che affliggono le catene di produzione mondiali che causano rialzi dei costi. E poi, nella realtà, fare meno in termini di restrizioni monetarie rispetto al previsto, sorprendendo i mercati in positivo.
Si tratta chiaramente di un percorso pieno di ostacoli e pericoli ma, al momento, è probabilmente l’unica strada che le banche centrali possono percorrere.
In questo scenario di maggiore incertezza e volatilità è fondamentale adottare una strategia d’investimento efficace e utilizzare strumenti efficienti. Sei sicuro che le soluzioni che hai scelto sino ad ora siano adeguate al mutato contesto dei mercati? Se così non fosse è il momento opportuno per fare il check up del tuo portafoglio.
Fabrizio Taccuso