Dalla crisi finanziaria del 2008 i mercati finanziari sono stati caratterizzati da una politica monetaria e fiscale straordinariamente aggressiva. Uno degli effetti di queste politiche è stato che l’inflazione è arrivata a livelli che non si vedevano dagli Anni Ottanta.
Nel 2021 le Banche Centrali non hanno capito per tempo che le politiche espansive, che per anni hanno drogato i mercati di liquidità, avrebbero portato l’inflazione alle stelle. Ora, invece, non si sono accorte del rischio di una possibile crisi bancaria innescata dal fortissimo rialzo dei tassi di interesse posto in essere proprio per far scendere l’inflazione.
Per i non addetti ai lavori va precisato che esiste una relazione inversa tra tassi di interesse e prezzi delle obbligazioni che le banche detengono nel loro attivo patrimoniale. Se salgono i tassi, i prezzi scendono. Ma se i tassi salgono in modo repentino, come è accaduto negli ultimi mesi, i prezzi dei bond possono anche crollare. E questo può creare gravi ripercussioni per i bilanci delle banche.
Analogie e differenze rispetto alla crisi finanziaria del 2008
Anche nel 2008 la crisi era stata innescata da un rialzo dei tassi di interesse avvenuto tra il 2004 e il 2007. Ma la crisi del 2008 ha avuto origine dal settore immobiliare ed era legata ai mutui subprime. Nel momento in cui molti mutuatari non sono più riusciti a restituire i loro prestiti, il prezzo delle case è cominciato a scendere. Ciò ha avuto forti ripercussioni sul valore dei prodotti finanziari creati con la cartolarizzazione dei mutui, in molti casi ad alto rischio.
Allora le autorità lasciarono fallire Lehman Brothers per dare un segnale al mercato, mentre in questo periodo la crisi è stata gestita in modo più efficace. Il governo federale ha garantito interamente i depositi delle due banche Usa insolventi e predisposto una linea di credito eccezionale per tutte le altre banche con collaterali che saranno valutati al valore nominale anziché al valore di mercato.
Silicon Valley Bank: il secondo più grosso fallimento bancario USA
Le vicende che hanno coinvolto la Silicon Valley Bank (SVB) per molti aspetti rappresentano un caso particolare. Negli ultimi due anni i depositi della banca erano aumentati vertiginosamente, grazie alle famose IPO che tra il 2020 e il 2021 avevano fatto il pieno di cash. In pratica i depositi provenivano principalmente da startup e fondi di venture capital del settore tecnologico.
SVB Financial group ha visto crescere nel 2021 le sue attività a ben 211 miliardi di dollari. A fine 2022 era il sedicesimo prestatore di denaro negli Stati Uniti.
Per qualsiasi banca prendere a prestito denaro attraverso i conti correnti rappresenta una passività a breve termine. Ma se questo denaro viene investito in asset di lungo periodo, come mutui o bond, è evidente che ci si prende un rischio notevole. E negli Usa ciò non ha rappresentato di certo un’eccezione.
La SVB aveva dunque investito la consistente liquidità in obbligazioni e titoli governativi a tasso fisso. I titoli venivano contabilizzati a bilancio al valore nominale o ai prezzi storici, nonostante il loro valore fosse sceso in modo considerevole a causa dei rialzi dei tassi da parte della FED. Tutto avrebbe potuto funzionare sino al momento in cui non si fosse stati costretti a vendere i titoli prima della scadenza a prezzi di mercato, o a utilizzarli come collaterale per ricevere prestiti.
Le start up negli ultimi tempi hanno vissuto una fase di crisi e ciò ha portato a fortissimi deflussi dai depositi della Silicon Valley Bank. Per far fronte alle richieste dei correntisti, la SVB ha dovuto vendere anticipatamente una parte degli attivi, realizzando perdite contabili per circa 15 miliardi di dollari.
La notizia ha cominciato a circolare tra i depositanti che hanno richiesto indietro i loro soldi. Solo l’8 marzo i clienti della banca hanno cercato di prelevare 42 miliardi di dollari, ossia un quarto dei depositi totali. L’insolvenza è diventata palese e tale da rendere inutile la corsa della banca alla ricapitalizzazione del proprio patrimonio.
Tutto ciò si sarebbe potuto invece evitare se la banca avesse mantenuto in portafoglio le obbligazioni fino alla scadenza.
Il crollo della Silicon Valley Bank mostra ancora una volta la velocità con cui le crisi possono propagarsi in modo inaspettato. SVB alla fine è caduta a causa di un deflusso di depositi bancari che si è trasformato in una corsa agli sportelli. Chi l’avrebbe mai detto considerando i tempi moderni in cui ci troviamo?
La legge approvata dall’amministrazione Trump
Com’è stato possibile che le autorità di controllo abbiano permesso tutto ciò?
Il tutto è più comprensibile alla luce di una legge del 2018 approvata dall’amministrazione Trump. che ha innalzato da 50 a 250 miliardi di dollari la soglia patrimoniale oltre la quale le istituzioni finanziarie vengono definite di importanza sistemica.
Non rientrare in questa categoria significa essere soggetti a regole meno stringenti e minori controlli con particolare riguardo ai requisiti di capitale e agli indici di liquidità. In conseguenza di questa legge la Silicon Valley Bank è sfuggita a questi controlli.
Sulla base di questa vicenda molti investitori americani hanno deciso di trasferire soldi nelle banche più grandi ritenute più sicure.
Il caso Silicon Valley non rappresenta purtroppo un caso isolato. Solo pochi giorni prima, una delle più grandi banche specializzate nel settore delle criptovalute come Silvergate Capital aveva dovuto alzare bandiera bianca.
Anche la Signature Bank, una banca di NewYork molto attiva nel settore immobiliare è stata chiusa dalla FDIC, la società del governo americano che si occupa della solvibilità del sistema bancario. Si è voluto impedire un effetto contagio, ossia che le difficoltà di una banca si estendessero ad altre.
Si stima che le perdite in pancia alle banche derivanti dai titoli di stato e non ancora dichiarate in bilancio ammontino a oltre 670 mld, a fronte di un totale di depositi di oltre 19 trilioni.
Le conseguenze di questi casi sono quindi la prova di un problema di vigilanza significativo. Va ricordato che la Federal Reserve è il principale regolatore del sistema bancario.
L’effetto corsa agli sportelli
Nelle ultime due settimane si è verificata una vera e propria “bank run”, ossia una corsa agli sportelli che ha colpito soprattutto le banche regionali americane. Si tratta di banche di medie dimensioni molto legate all’economia del territorio e al tessuto locale.
Gli investitori hanno venduto massicciamente le azioni di queste banche che la scorsa settimana sono arrivate a perdere anche il 60% del loro valore. Quando tanti correntisti ritirano contemporaneamente le somme depositate per paura che la banca fallisca, si verifica una crisi di liquidità.
Negli Stati Uniti il limite per l’assicurazione federale dei depositi ammonta a 250.000 dollari. I correntisti delle banche regionali sono spesso aziende con conti che hanno giacenze superiori a tali soglie e che pertanto non prevedono il rimborso garantito in caso di fallimento della banca.
A questo punto sono intervenuti il governo americano e le autorità di vigilanza stanziando un fondo dal 200 mld per garantire il rimborso integrale delle somme sui conti delle banche fallite.
Questa eccezione, discutibile per alcuni, è stata posta in essere per evitare il panico e lanciare un messaggio forte all’opinione pubblica e ai clienti delle banche regionali o similari a quelle fallite.
Joe Biden ha ribadito che i soldi sui conti correnti delle banche Usa sono al sicuro.
Tutto ciò a tutela di aziende e privati che avrebbero rischiato di perdere molti soldi con gravi conseguenze economiche e sociali. Allo stesso scopo si è anche deciso di concedere dei prestiti di emergenza per circa 150 mld, somma decisamente superiore rispetto ai tempi del fallimento Lehman Brothers.
In Europa la vicenda Credit Suisse
Nello scorso fine settimana ha tenuto banco in Europa la vicenda, ben più importante, che riguarda Credit Suisse, la seconda banca svizzera. In un primo momento la Banca Centrale Svizzera è intervenuta in soccorso della banca attraverso un prestito di 50 mld.
Ciò non è stato tuttavia sufficiente. Domenica, a mercati chiusi, Credit Suisse è stata acquistata da Ubs.
I punti principali dell’accordo prevedono:
1) UBS paga l’equivalente di 3 miliardi di franchi interamente in azioni, cioè ad un prezzo di 0.76 franchi per ogni azione Credit Suisse
2) La Banca Nazionale Svizzera mette a disposizione liquidità per un equivalente di 100 miliardi di franchi svizzeri.
3) Il governo si impegna a coprire 9 miliardi di eventuali perdite che dovessero originarsi sugli asset di Credit Suisse.
4) Tutti i bond AT1 di Credit Suisse, equivalenti a circa 16 miliardi di franchi, vengono azzerati.
Se vogliamo sintetizzare il tutto, a parte il timore di un effetto contagio, quanto accaduto in questi giorni ha la stessa portata di un forte rialzo dei tassi perché rappresenta un fattore drenante di liquidità.
Ciò potrebbe costringere le Banche Centrali a fare un deciso dietrofront sulla politica monetaria e
Un altro effetto certo sarà la restrizione del credito, dal momento che le banche avranno altre priorità rispetto a quelle di prestare denaro. Queste priorità saranno, ovviamente, riportare i parametri patrimoniali entro livelli di assoluta sicurezza.
Come puoi difendere i tuoi risparmi?
Alla luce di tutto ciò che sta accadendo nelle ultime settimane è lecito porsi alcune domande.
Oggi concretamente la coda agli sportelli non esiste più. Con un semplice click ognuno di noi può trasferire soldi da una banca ad un’altra perché più “sicura”, oppure disposta a pagare di più la raccolta.
Non ha nemmeno molto senso detenere liquidità in conto corrente, dal momento che, tranne rarissimi casi, non viene proprio remunerata. Ha più senso comprare un titolo di stato che ha rendimenti decisamente superiori.
Inoltre, anche se l’inflazione tenderà progressivamente a scendere, è ancora molto alta e detenere liquidità infruttifera sui conti correnti significa perdere potere di acquisto.
Che senso ha tenere i soldi sul conto quando lo stato su un titolo mi offre il 5 percento abbondante?
Questa la domanda che investitori e risparmiatori hanno iniziato a porsi nel 2022.
In particolare negli USA si stima che nel 2022 i correntisti abbiano subito un mancato guadagno di circa 50 miliardi mantenendo i soldi sul conto corrente. Nel 2023 tale somma potrebbe aggirarsi addirittura tra i 200 e i 250 mld.
A giugno del 2022 i depositi bancari ammontavano a 19.563 mld, registrando un calo di ben 370 mld rispetto al trimestre precedente. Questa dinamica nel corso degli ultimi mesi sembra essersi accentuata, proprio a causa del differenziale tassi precedentemente descritto.
Ovvio che tutto ciò abbia portato a ripercussioni sui bilanci delle banche.
Ecco dunque alcuni utili accorgimenti per vivere con maggiore serenità questa fase di mercato:
- Non lasciare sul conto corrente, per ogni intestatario, una cifra superiore ai 100 mila euro, compresi depositi bancari vincolati o obbligazioni bancarie.
- Investi le eccedenze in titoli di stato a breve termine 12/18 mesi o in altre attività che non rientrano nel passivo della banca.
- Tieni a mente la regola numero uno di ogni investitore: la diversificazione dei tuoi investimenti.
Fabrizio Taccuso | Consulenza Vincente